Lo sappiamo, state pensando ai treni, quelli cari e scomodi che raramente arrivano in orario. Provate invece a cancellare quell’immagine e concentrarvi su un gruppo che si chiama Intercity e che ha in dirittura d’arrivo il proprio secondo lavoro, “Yu Hu”. Nati dallo scioglimento dei bresciani Edwood (da cui provengono Fabio e Michele Campetti e Pierpaolo Lissignoli – tre ottimi album all’attivo per loro, il primo su Fosbury, il secondo su Ghost Records, il terzo su ACupInTheGarden), e dal loro incontro con la cantautrice Anna Viganò, gli Intercity hanno alle spalle un esordio molto convincente, Grand Piano del 2009 (Intervista Music / Audioglobe), con cui avevano cominciato ad affinare uno stile personale e introspettivo che li ha resi una band di culto nella scena underground italiana. A Febbraio 2012 il quartetto farà il proprio ritorno in grande stile con ben quindici tracce inedite, prodotte da Giacomo Fiorenza e registrate in analogico, fattore che contribuisce ad aumentare il calore e quel certo retrogusto Sixties che ammanta molte composizioni del disco. Cinquanta minuti di musica che riescono a catturare in maniera fedele il mondo degli Intercity, mettendo in mostra la varietà di atmosfere che i quattro riescono a creare: un’impostazione classicamente pop su cui le tastiere spesso ricamano melodie sognanti e le voci di Fabio e Anna duettano in perfetta armonia, riportando alla mente le incursioni più space age degli Stereolab, tra i primi a ripescare certe suggestioni retro future anni Sessanta e a ridipingerle di colori nuovi e inediti. I quindici brani del disco sono un continuo saliscendi tra bozzetti introspettivi, spunti melodici che sono la condizione necessaria per un buon singolo (“Anfiteatro”), ballate intense (“Smeraldo”) ed episodi più nervosi e concitati (“Neon”). Un ottimo campionario che rende l’ascolto molto vario e gli Intercity un nome da segnare in rosso per il futuro più prossimo. A certificare la bontà di “Yu Hu” (un gridolino di felicità?) sono canzoni come “Piano piano” – nel ritornello fa capolino persino “Pornography” dei Cure, un capolavoro dell’oscurità, se mai ce n’è uno -, la sinuosa “Nouvelle Vague” con Godard e Laetitia Sadier che vanno a braccetto, la breve scheggia di “Overdisco” e “Mondo moderno” e “Anti”, che accompagnano il disco verso un finale più intimista. Una menzione a parte la meritano anche le liriche, che svelano un registro quasi onirico, con una latente malinconia che pervade tutte le tracce, testi incisi in maniera appropriata sia quando a cantarle è una voce soltanto, sia quando se ne occupano Fabio e Anna assieme, come nei momenti migliori del disco.
In allegato il comunicato stampa.