L'ha corsa fino in fondo perché al traguardo lo attendeva un obiettivo importante: dedicare la gara all'atleta prematuramente scomparso Claudio Bonaiti. Raffaele Brattoli, runner estremo di Peschiera Borromeo, questa volta, ha messo a repentaglio la sua stessa esistenza pur di portare a termine la competizione TransOmania 300 Km non stop. «Fin dall'inizio, con un pizzico di incoscienza e sana follia, mi ero iscritto a questa gara, nello stato dell'Oman, con un principio morale molto alto: correre in memoria di Claudio Bonaiti, un grande atleta e amico deceduto lo scorso 10 Ottobre 2013, con cui ho condiviso chilometri, momenti felici e scherzosi, problemi di vita e di lavoro». Con questi presupposti ha cominciato questa nuova avventura, la più difficile e pericolosa di sempre, tracciata da una costa all'altra dell'Oman, oltre vette montuose che superano i 2mila metri e che dominano l'oceano Indiano.
27 gennaio 2014 - Ore 21.00, partenza da White Beach. Il percorso, fin da subito, si inerpicava sopra cime vertiginose. «Un muro di mille metri si stagliava dinnanzi a me - racconta - sino a Wadi Bani Khalid, ossia quel deserto rischiarato da una luna calante talmente bella, che l'immaginazione portava a paragonarla a una barca d'oro che galleggiava nello spazio infinito delle costellazioni». Uno spettacolo che solo il deserto è in grado di offrire.
28 gennaio 2014 - La magia e l'atmosfera onirica avevano resistito, però, per poco tempo perché il passaggio nel cosiddetto "labirinto", un percorso assurdo ed estremamente complicato da oltrepassare, aveva riportato l'atleta alla dura realtà. «Io e il mio amico Oliviero Mordenti avevamo perso almeno 5 ore per ritrovare la strada giusta». I due runner, infatti, avevano smarrito la via maestra, perduti nel mare del deserto. Tutto quello che stava a segnare la direzione era scomparso: i nastri di segnalazione erano stati divorati dalle capre che vivono quei territori sperduti da Dio e le aste con bandiera rossa e le balise, la cui presenza avrebbe dovuto intervallare ogni chilometro, erano state rubate dai beduini. Per diverse ore il deserto venne scandagliato, granello per granello, in cerca di qualche scampolo di segnalazione che indicasse la direzione, e con non poca fatica arrivarono al secondo cancello, che li condusse alle piscine naturali del Wadi Bani Khalid. Lì Oliviero Mordenti, a seguito dell'episodio appena vissuto, decise il suo ritiro mentre Raffaele Brattoli, ripartì in solitaria affrontando la seconda notte, schiacciato tra canyon che comportavano forti escursioni termiche: notti gelide e giornate bollenti che bruciavano la pelle e seccavano la gola. «Superati questi luoghi, monotoni e a tratti noiosi, poco dopo le ore 21.00 giunsi quasi all'oasi Safari Camp, nel cuore del deserto, che indicava suppergiù il giro di boa della gara». Per qualche tempo Raffaele Brattoli si fermò: cambiò le calze e si medicò i piedi feriti, oltre a nutrirsi con del purè liofilizzato, parmigiano e olio. Dopodiché, rinfrancato ripartì, ma in debito di sonno, tant'è che si concesse qualche micro pisolino da 10/15 minuti, con luce frontale accesa per segnalare la sua posizione e con lo zaino ripiegato a mo' di cuscino.
«Durante le soste notturne - ripercorre l'ultramaratoneta di Peschiera Borromeo - vidi alcuni topolini bianchi che mi giravano attorno e le impronte sulla sabbia di serpenti, lucertole, scarabei, cammelli ed altro... ma cercai di non distrarmi per non perdere di vista il percorso, dove le segnalazioni erano rare e difficili da interpretare nel modo corretto».
29 gennaio 2014 - L'alba sopraggiunse prima del previsto nel deserto. I raggi del sole ufficializzarono la conquista della tappa numero 7, in cui Raffaele Brattoli saziò la sua sete con dell'ottimo succo di mango e riposò i muscoli su un materassino dello staff per una mezz'ora circa, prima di riprendere alla volta del Washiba Sand, il vero deserto di pura sabbia dove di solito ama correre. Mancavano solo 130 chilometri al traguardo e sebbene la strada da compiere fosse ancora molta, il paesaggio lo rianimava: «Le grandi dune erano incredibili, maestose, con quei colori che variavano continuamente dal marrone al rossiccio, dal giallo fino a raggiungere tonalità di bianco». E ciò, non lo faceva pensare, forse, ai 45 gradi che nelle ore diurne arroventavano la sabbia, finché almeno non sono calate le tenebre, con le loro insidie e con il loro scuro. «Ero sempre solo - chiosa -. Speravo che la notte trascorresse il più velocemente possibile». Anche perché la mente cominciava a dare segni inconfutabili di sfinimento: la realtà si distaccava e prendevano forma visioni e allucinazioni. Si trattava di immagini angeliche alternate a figure infernali che si avvicendavano costantemente e lo stordivano fino al sorgere del nuovo giorno.
30 gennaio 2014 - «Con il levarsi del sole tra le dune, valicai il cancello nove - continua -. La luce mi permise di ammirare la natura strana e selvaggia dell'Oman e osservare il calpestio di chi mi aveva preceduto. La fantasia correva su quelle strane orme che, ciascuna diversa dall'altra, prendevano forme di animali, facce di clown, scimmie e teschi. E notai, e questo è tremendamente vero, che nelle impronte dei cammelli vi erano impressi dei disegni: erano gli stemmi delle varie famiglie di beduini che probabilmente servono per specificarne la proprietà». Ma se il più sembrava superato, Raffaele Brattoli si sbagliava di grosso perché le prove per lui non erano ancora finite. Durante la sua marcia, di fatto, si era affiancato un vecchio pick-up con tre beduini a bordo. Chiedevano del cibo. «Avendo delle barrette che non avevo mangiato le offrii loro». Ma uno dei tre, dicendo qualcosa di incomprensibile in arabo, con estrema arroganza, gli strappò di mano il sacchetto contenente tutti i viveri. «Sorpreso e arrabbiato da questo atteggiamento, scelsi di non reagire: il deserto, in questo senso, può essere ostile. Pensai - prosegue - che quello sparuto gruppetto non ci avrebbe messo nulla a tagliarmi la gola e seppellirmi sotto la sabbia». Senza cibo, venne pertanto abbandonato al suo destino. Gli rimaneva la sola acqua e lo zaino con il materiale tecnico. Ma non era sufficiente per una competizione estrema, servivano energie. E presto! Nel frattempo il termometro aveva fatto un balzo all'insù e l'utilizzo dell'acqua si fece via via più frequente. La corsa, alla luce dei fatti, era compromessa, il rischio elevato, ne andava della sua stessa vita. «Passo dopo passo tutto appariva più nero, le immagini si moltiplicavano - spiega Raffaele Brattoli -. Barcollavo e sbandavo da una parte all'altra». Fortunatamente, prima di svenire, riuscì a inviare la richiesta di soccorso tramite il gps. Poi il buio. «Mi risvegliai un'ora dopo al check-point 10. In questa postazione fui assistito dai miei soccorritori Matthew e Martiel, benché non vi fosse la presenza di un medico né attrezzature di emergenza. Mi ritenni comunque fortunato di come fossero andate le cose e poi ritrovai altresì il mio amico Oliviero che mi accudì e addirittura mi ripulì le narici piene di sabbia». Il tempo dedicato al riposo e la solidarietà degli altri concorrenti, che gli donarono un po' di cibo, lo rimisero in sesto e al tramonto ricevette il consenso dall'organizzazione per ripartire. «Al contempo mi raggiunse Paolo Bucci e insieme affrontammo nella quarta notte il sali scendi delle grandi dune, che risultò particolarmente massacrante: la superficie era poco compatta e si sprofondava spesso oltre le caviglie. Le scarpe, ormai usurate, stavano cedendo e le ghette, senza più elasticità, facevano entrare la sabbia nei piedi, provocando dolore e abrasioni che comportavano profonde e ulcerate vesciche». Non a caso qualche tempo dopo i due corridori incontrarono un francese che a soli 50 Km dalla fine diede forfait.
31 gennaio 2014 - L'ultima alba. Lo sforzo ormai era massimo, il solleone cuoceva la scorza arrossata o spellata degli atleti. Raffaele Brattoli, nonostante l'avvilimento determinato dalle circostanze dei fatti, strinse i denti per tagliare il traguardo, sempre più vicino, nei pressi di Imlil Beach, spiaggia di pescatori e tartarughe. E a pochi metri dalla meta, tirò fuori la bandiera italiana, custodita gelosamente per tutta la gara, con la scritta "Claudio Forever" e dedicata all'amico scomparso. «Gli ultimi passi volarono, tra commozione e felicità, pensando di avere avuto al mio fianco, per 300 Km, un angelo custode. All'arrivo, gli abbracci e i complimenti furono di riflesso tutti per te, grande Claudio!». Raffaele Brattoli ha chiuso la competizione in 91 ore e 44 minuti.
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